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17 settembre 2009

Di Roberto Saviano ... stupendo 2^ parte


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Ogni volta che entri in una palestra di pugilato ti alleni e comprendi che è tutta una pratica incentrata sul renderti insensibile al dolore. ll pugilato rimane l'ultimo sport epico perché si fonda su regole della carne che pongono l'uomo di fronte alle sue possibilità. Anche l'ultimo della terra con le sue mani, la sua rabbia, la sua velocità può dimostrare il proprio valore. Il combattimento diviene un confronto con questioni ultime che la vita contemporanea ha reso quasi impossibile. Solo sul ring capisci chi sei e quanto vali veramente.

Quando combatti non conta il diritto, non conta la morale, non conta nulla se non le tue mani, i tuoi occhi, le tue gambe. Non puoi mentire, nel contatto fisico. Non puoi chiedere aiuto. Se lo fai, accetti la sconfitta. E' tutto lì con te e non hai altro che te. E lì sul ring può accadere davvero di tutto. Forza disciplinata dalla ragione, forza che si piega alla ferrea volontà.

Vedere Mirko combattere, dopo la sfortuna degli ultimi anni, è stata un'emozione fortissima. Gli è capitato di tutto, compreso arrivare secondo ai mondiali di Chicago perché combatteva con una mano rotta. Alle Olimpiadi ha perso la concentrazione e un cubano assai meno bravo di lui l'ha battuto. Ma lui sapeva di valere. Claudio De Camilliis capo del settore Fiamme Oro ci punta da anni: "E' il migliore che abbiamo. E ora il mondo l'ha capito!".

Domenico Valentino ha una regola fondamentale, il profondo rispetto per lo sfidante. Dal suo angolo non sentirai mai frasi tipo "ammazzalo, uccidilo". Mai. Si batte l'avversario. Punto. E' da sempre amico della nazionale uzbeka, però tempo fa mi disse: "Non amo i turchi perché quando vincono ti prendono in giro, ti sventolano la bandiera sotto il naso. Per il resto: tutti fratelli combattenti". I pugili che hanno combattuto in questo mondiale sono portoricani, russi, ucraini, kazaki, uzbeki, bielorussi, cubani. I nuovi combattenti affamati.

I gladiatori che non hanno belle facce e non riescono neanche ad allenarsi in belle palestre. Vengono dalle periferie russe, sono tedeschi dal cognome turco, cubani magri e nervosi. Qui lo sport non ha zeri milionari. Chi vince la cintura di campione mondiale guadagna trentamila euro. Ci si allena in palestre fatte più per addestrare che per pugilare e basta. Ma è questa la forza di una disciplina in cui ormai, almeno in Italia, gli sponsor non investono più. E' questa la forza di uno sport che nel sud Italia non attira l'attenzione delle mafie perché nel giro non circolano più molti soldi. E poi, le regole del pugilato sono incompatibili con quelle dei clan.

Uno contro uno, faccia a faccia. La fatica dell'allenamento, il rispetto della sconfitta. La lenta costruzione della vittoria. Non è l'esito di un incontro a stabilire chi veramente è più forte. Più che la vittoria, conta l'assenza di senso che occorre sostenere per potervi salire e starci, su quel ring. Conta il saperci stare dentro quella vita. Agonismo e agonia.

Un incontro memorabile è stato quello contro Marcel Schinske a Helsinki nel 2007. Il pugile tedesco tentò una strategia d'attacco ma sbagliò tutto e si scoprì, errore fatale se combatti con un pugile veloce che si chiama Valentino. Infatti Mirko gli infilò subito un diretto al mento così forte che Schinske non solo andò a tappeto immediatamente, ma cadde rigido, le braccia bloccate ancora in guardia, gli occhi rivoltati all'insù.

Domenico Valentino non dimenticherà mai più quel diretto. "Ho sentito come una scarica elettrica in tutto il braccio. Mai avevo sentito una cosa così. È come se tutto il suo dolore mi fosse entrato dentro. Mi sono spaventato perché dopo essere andato Ko ha iniziato anche a scalciare come un epilettico". Pensava di averlo ucciso e così iniziò a piangere disperato. Ha singhiozzato per quaranta minuti, solo quando si è assicurato che stava bene s'è calmato. Può sembrare incredibile ma è così: salire sul ring per buttare giù un avversario e una volta buttatolo giù preoccuparsi che non si sia fatto troppo male, che possa continuare a essere uomo e pugile.

Il pugilato, con le sue palestre spoglie, spartane, è in grado di restituire alla parola "onore" il suo significato originario. Di riscattare questa parola, sequestrata dalle mafie. Considerata ormai impronunciabile e che invece fa riferimento a qualcosa che ti porti dentro e che segui al di là delle dinamiche del calcolo dei costi e dei benefici. Agisci perché è giusto. E comprendi che l'onore è qualcosa che esiste dentro di te, al di là delle leggi, della educazione e della reputazione che hai. E sono stato contento di essere testimone delle lacrime di Domenico Valentino, campione del mondo che si è giocato tutto per questo trofeo. Ha rinunciato a tutto per ottenere ciò che per lui contava più di tutto: dimostrare cosa significa essere un pugile, un uomo, e un uomo del sud.

E' facile comprendere che questi due giovani uomini, Valentino e Cammarelle, sanno cosa significa l'onore. Pochi giornalisti qui. I pugili di questa sera non erano divi da reality, non sfilavano, e quindi non attraevano. C'erano molti muratori ucraini, molti operai russi, migranti venuti a tifare dagli spalti per i pugili. Ma lo stadio non era pieno. Ma da questi ragazzi ci sarebbe molto da imparare.

La loro forza e la loro resistenza dicono molto più di cento comizi. E dal forum di Assago, mentre si diffonde l'odore acre del sudore inzuppato nei calzettoni, mi viene in mente che gli incontri li vince sempre chi ha voglia di riscatto, chi ha voglia di migliorare se stesso e il mondo in cui vive. Vince chi sente forte, più di qualsiasi altra cosa, l'esigenza di dimostrare a se stesso e agli altri che tutto può cambiare.


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