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20 aprile 2010

CHI ERA EDWIN VALERO , NON SOLO CAMPIONE DEL MONDO


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Non poteva perdere , non poteva andare negli Stati Uniti , non poteva smettere di bere , non poteva stare tranquillo e vivere non gli riusciva semplice . Per Edwin Valero l’esistenza è sempre stata maledettamente complicata e quando ha capito di averla ingarbugliata troppo , ha deciso di suicidarsi, a 28 anni . In prigione , appeso a un cappio fatto con i suoi vestiti , giusto 24 ore dopo aver ucciso la moglie a coltellate .


Era un pugile venezuelano e non uno qualsias i: El Inca , soprannome che richiama antenati precolombiani e lineamenti importanti solo che per lui era un vecchio sponsor , il nome di una pista da corsa che gli era finita sopra il giubbotto in una dei rari colpi di fortuna della sua gioventù . Abbandonato dal padre , affidato a parenti di terzo grado che avrebbero dovuto aiutare la madre , senza lavoro, a crescerlo . Come altri campioni di boxe era cresciuto per strada e metteva nei pugni il disperato bisogno di rivincita . Nel suo caso i conti dovevano già essere tornati da un pezzo : era imbattibile . Prima peso piuma , poi peso leggero , campione mondiale in entrambe le categorie con 27 incontri vinti per ko su 27 match disputati. Il successo al cubo . Picchiava duro , metteva paura e sosteneva di farlo per dimostrare che anche quelli venuti su senza soldi potevano farsi largo.

Era convinto che la sua personale filosofia fosse la stessa del presidente Hugo Chavez e si era tatuato quella faccia sul petto , impresso sopra una bandiera venezuelana con tanto di scritta « Venezuela de verdad » . Un manifesto politico disegnato tra un muscolo e l’altro , « una missione sociale » , motivava lui , un orrore per gli avversari e i promoter che consideravano quell’ostentazione : « Il peggior tatuaggio mai visto » . Lui ne andava fiero : « Chavez ha dato la sua vita per il popolo , è stato preceduto da tanti disonesti , per questo ha un lavoro così difficile , ma un uomo come lui che dedica tutto questo tempo alla sua gente è da ammirare » . Lo idolatrava ed era parte della sua cerchia , l’anno scorso era stato invitato dal presidente su un palco durante un comizio . « Ecco qua l’uomo che farebbe paura anche a Cassius Clay » . In realtà gli esperti gli rimproveravano di aver sempre scelto avversari abbordabili e di vivere sopra le righe e sopra le regole proprio grazie all’influenza di Chavez . Nel 2001 , mentre era negli USA , si era spaccato la testa .

Letteralmente , un incidente in moto a cui sembrava non potesse sopravvivere , ma Valero si era rimesso in piedi ed era tornato sul ring . Contro ogni logica . Aveva perso l’abilitazione a combattere in molti Paesi ed era uscito dal giro buono , quello che accetta sfide solo a Las Vegas o dovunque ci sia una borsa degna di nota . Proprio in uno dei suoi pellegrinaggi in cerca di permessi , in Texas , si era fatto pescare ubriaco e rissoso e da allora non era più riuscito a mettere piede in America . Ogni volta che c’era un incontro in ballo gli veniva negato il visto : « Una manovra contro Chavez » , rispondeva lui che aveva sposato il ruolo di esiliato politico per essere d’aiuto al governo . Propaganda con i guantoni , il più forte che non trova avversari perché è costretto a difendere il titolo in Sudamerica , in Asia , lontano dal centro della mischia . Stava per passare di categoria , salire ai welter per poter incontrare Manny Pacquiao , il re delle Filippine in corsa per la carica di governatore . Altro idolo delle folle e dei diseredati , altro uomo-nazione che si è salvato dal teppismo e ha costruito un impero con la boxe .
E l’alterego ideale perché con lui si poteva combattere a Manila


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