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7 luglio 2009

Addio a Jackie Tonawanda l'orgoglio della pugilessa


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Aveva 75 anni, combattè una storica battaglia civile per salire sul ring. E si battè anche contro i maschi

E' morta ieri al Mount Sinai Hospital di Harlem dove non è riuscita a mettere ko un tumore al colon. Era una pugilessa, Jackie Tonawanda, che non si spaventava davanti a niente. Nessun tremore per le decisioni dei dirigenti, che non volevano autorizzarla a battersi con i maschi ("prima o poi gli faccio cambiare idea"). Nessuna paura davanti agli uomini quando finalmente i vertici della boxe decisero che un paio di match "bisex" si potevano anche organizzare ("non avevo ragione io?"). Nessuno problema quando si trattò di inventarsi un soprannome ("sono la donna Ali"), semplice, diretto, carico della giusta esagerazione, così da rendere mitico ogni cazzotto che fosse arrivato sul volto di un avversario, uomini, donne, fantocci, da quel momento in poi. Jackie Tonawanda aveva 75 anni. Solo a 40 anni le permisero di esprimersi senza doversi vergognare o altro, ma per diventare professionista, la prima donna pugile professionista, dovette rivolgersi a un giudice. Non aveva né l'aspetto né la tenerezza né la rabbia giovane della "million dollar baby". Tre parole, quelle del film di Clint Eastwood e del libro di Toole Fx, che a Jackie non si addicevano. L'espressione "milioni" sarebbe stata buona soltanto per circoscrivere, con un accettabile dose di approssimazione per difetto, il numero di guai della sua vita privata (le scoppiò anche una cucina a gas, due volte rischiò di rompersi l'osso del collo per colpa di un gatto che le passò fra le gambe, non lo stesso gatto). Di dollari ne vide sempre pochi: talmente pochi che quando le misero in tasca cinquecento dollari per aver mandato al tappeto al secondo round Larry Rodania al Madison Square Garden nel 1975, un "kickboxer" che nessuno aveva mai sentito nominare, le parve di non riuscire a camminare dritta, "tanto ero sbilanciata dal peso di quei verdoni". Della "baby" non aveva assolutamente niente. Dissero che quell'incontro era una combine, che nessuno avrebbe potuto credere a un match in cui per sparring partner veniva selezionato "l'uomo meno competente di boxe che sia mai salito su un ring". Jackie fece orecchie da mercante. Nonostante il discreto pubblico, quella prova non le fu ancora sufficiente per ottenere il "pass". Lei e le altre due aspiranti professioniste del tempo, Lady Tiger Trimiar e Cathy "Cat" Davies, uscirono ancora una volta sconfitte. Ad opporsi fu il capo della New York State Athletic Commission Edwin Dooley, presente all'incontro e, raccontano in molti, "prezzolato" per tener lontano la boxe dal degrado, evitare che si trasformasse, come spiegava allora il New York Times, "in un circo". "Non autorizziamo i combattimenti fra donne perché loro sono donne", fu la conclusione della commissione. Anche questo semplice e diretto. Jackie portò Dooley in tribunale, vinse la causa e costrinse Dooley a concederle la licenza: "La scelta della commissione risente di atteggiamenti e opinioni vecchie di secoli", scrissero nella sentenza. L'allenava Davey Vasquez, un ex campione, anche lui un po' alla Clint Eastwood, e la sua palestra era la Gleason's Gym di Freddie Brown, altro viso da cinema. La donna Ali era comunque certa di aver fatto scuola: "Sono convinta che la boxe femminile è soltanto all'inizio". Lei però era quasi alla fine. Entrò nella Ring 8, una storica associazione di pugili ritirati: "E' una donna così onesta e forte che non capisco come abbiano fatto a renderle la vita così difficile", disse Gerry Cooney, peso massimo che le stette accanto per anni. Lottava ancora, senza ring, Jackie, senza rivali. Con lettere e telefonate. Voleva che mettessero agli atti anche la sua confusa attività agonistica anteriore al 1974: "Quaranta incontri almeno devono riconoscermeli", protestava lei. Ma la Women Boxing Archive Network non ne trovò mai traccia: né testimoni oculari né cronache sui giornali locali. Superati i sessantacinque Jackie non usciva quasi più da Harlem. E non tanto perché non ce la facesse a camminare "quanto perché non vedeva un buon motivo per farlo". Le era rimasto, come cantavano Simon & Garfunkel in "The Boxer", poco e niente. Giusto "a pocketful of mumbles, such as promises", un mucchietto di parole senza senso, come tante promesse. I boxer si somigliano tutti, prima o poi. Aveva convinto il mondo che una donna, una donna nera, riccia come Aretha Franklin e impegnata almeno altrettanto, poteva guadagnarsi da vivere prendendo a zampate gli avversari come un uomo qualsiasi. Peccato solo che lei, Jackie, conquistata la luce perse brillantezza. Aveva già speso gran parte delle sue energie: "Arrivò tutto tardi", disse Cooney. Da inquadrata all'interno del sistema, disputò appena trentasei incontri. Ne perse uno soltanto. Ma ormai erano match stanchi. Questi sì, più dei primi, sembravano esibizioni. Fu una pioniera. Quando smise, per paradosso o per ostinazione, divenne la buttafuori del centro di addestramento di un ex pugile a Deer Lake, in Pennsylvania. Un certo Muhammad Ali. E.S.


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